Tarcisio Ghislandi è stato per oltre cinquant’anni sacrestano a Basella.
I rintocchi delle sue campane hanno scandito ritmi, liturgie e generazioni.
I rintocchi delle sue campane hanno scandito ritmi, liturgie e generazioni.
E’ risaputo che il sacrestano ha il compito di tenere in ordine la sacrestia, di pulire, sorvegliare e custodire la chiesa, nonché di aiutare il sacerdote in vari compiti pratici, preparando tutto il necessario per il corretto svolgimento della cerimonia.
E’ forse meno noto che questo lavoro richiede grande dedizione, che le ore non vanno mai contate e che l’impegno spirituale è imprescindibile per compiere al meglio il proprio incarico.
Un impegno che certo a Tarcisio non mancava: chi lo cercava, difficilmente lo poteva trovare a casa.
E’ giù in chiesa! Soleva dire la figlia Luisella in qualsiasi ora del giorno; sempre che non fosse notte e qualcuno lo svegliasse dalle deboli luci della piazza chiamandolo dalla finestra.
E’ giù in chiesa! Soleva dire la figlia Luisella in qualsiasi ora del giorno; sempre che non fosse notte e qualcuno lo svegliasse dalle deboli luci della piazza chiamandolo dalla finestra.
Si usa dire: una vita casa e chiesa. E in effetti il motto è assai calzante per la vita di Tarcisio Ghislandi.
Nato e cresciuto proprio dietro il Santuario, in quella cascina del Cavagnera che oggi ancora resiste in qualche muro malconcio nell’area ex Tasso. Un rudere sdentato di cui nessuno sa cosa farne. Nel dubbio crescono transenne e le auto ci parcheggiano dentro. Poi, in futuro, si vedrà.
Dunque in questa cascina vissero numerose famiglie basellesi: i Pinetti, i Carlessi, i Bosis, i Gurioni. E tra queste, per l’appunto, i Ghislandi: Angelo e Irma con i figli Maria, Tarcisio, Paolo, Lucia, Antonio e Maria Pia.
La devozione era di famiglia: mentre Tarcisio a otto anni già bazzicava in chiesa - un colpo di campanella di padre Simone e lui arrivava - la sorella Maria Pia con l’accordo sofferto della madre partiva per Signa, Firenze, per fare le medie dalle Suore Passioniste. E per poco non finiva suora pure lei.
La devozione era di famiglia: mentre Tarcisio a otto anni già bazzicava in chiesa - un colpo di campanella di padre Simone e lui arrivava - la sorella Maria Pia con l’accordo sofferto della madre partiva per Signa, Firenze, per fare le medie dalle Suore Passioniste. E per poco non finiva suora pure lei.
In oltre cinquan’anni da sacrestano, sono molti i curati a cui Tarcisio ha prestato servizio: Padre Simone Maggi, Padre Andrea Adobati, Padre Enrico Boffi, Padre Piero Lanza, Padre Claudio Rapizza, Padre Antonio Brambilla, Padre Giuseppe Cortesi.
Ogni volta diceva: questo è l’ultimo!
Ma si sa che alla fine la passione per il proprio lavoro vince sempre.
Una giornata intensa, quella del sacrestano. Sveglia alle cinque e trenta, niente colazione, di corsa ad aprire la chiesa per la funzione delle sei. Si prepara la messa delle sette, una breve pausa per un caffè e, in una girandola di attività, si arriva al mezzodì. Alle due del pomeriggio si riparte e tra funzioni e faccende la sera giunge in un battibaleno.
Una giornata intensa, quella del sacrestano. Sveglia alle cinque e trenta, niente colazione, di corsa ad aprire la chiesa per la funzione delle sei. Si prepara la messa delle sette, una breve pausa per un caffè e, in una girandola di attività, si arriva al mezzodì. Alle due del pomeriggio si riparte e tra funzioni e faccende la sera giunge in un battibaleno.
Per ogni porta aveva bell’e prontala chiave giusta.
Aveva almeno venti mazzi di chiavi - racconta la figlia Luisella - e per ogni porta aveva bell’e pronta la chiave giusta. Con questi grossi mazzi in tasca correva, prima giù per la chiesa e poi su per il convento, un salto all’asilo e poi via all’oratorio. A volte le tasche non reggevano, il peso le rompeva e andavano rammendate. Qualche graffettata per fare prima e via: tanto a breve si era a punto a capo con quei grossi mazzi in tasca. Quando si dice il peso della responsabilità.
Io di Tarcisio ricordo lo sguardo severo mentre facevo il chierichetto negli assolati pomeriggi settimanali.
Le vesti dovevano essere indossate e riposte a modo, l’incenso non poteva mai mancare. Ogni cosa aveva un posto e c’era un posto per ogni cosa: l’ordine come gesto di passione per il proprio lavoro.
Ma poi, finita la liturgia, emergeva quella sua bontà d’animo, si lasciava un po’ andare e scappava qualche risata. Nella pazienza di un grosso sospiro tollerava le marachelle che noi giovinastri immancabilmente combinavamo.
Le vesti dovevano essere indossate e riposte a modo, l’incenso non poteva mai mancare. Ogni cosa aveva un posto e c’era un posto per ogni cosa: l’ordine come gesto di passione per il proprio lavoro.
Ma poi, finita la liturgia, emergeva quella sua bontà d’animo, si lasciava un po’ andare e scappava qualche risata. Nella pazienza di un grosso sospiro tollerava le marachelle che noi giovinastri immancabilmente combinavamo.
In conclusione possiamo affermare, senza temere di essere smentiti, che per i Basellesi il Santuario è un simbolo di aggregazione e identità. Ed è altrettanto vero che Tarcisio, grazie all’impegno e alla dedizione con cui l’ha custodio, di quel simbolo ne fa parte in quanto memoria vissuta e riferimento per i suoi concittadini.
Un ringraziamento particolare a Maria Pia e Luisella Ghislandi per i racconti e il materiale fornito.
Correzione fotografica, redazione e impaginazione: Roberto e Antonio Consoli.
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Questo racconto è parte del progetto Persone e attività di Basella Viva.
Se hai materiale per arricchire questo racconto o hai persone e attività da proporre, contattaci.
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